Delle cose e del tempo di Lelia
Postfazione di Natascia Corsini
Uno sgurbiól, non più bambina e non ancora donna, Lelia passa l’infanzia in una cascina della Bassa modenese. Le mucche da latte per il parmigiano, la mezzadria come nell’Ottocento, l’acqua dal pozzo e il cesso dietro il porcile. Nei campi lavorano anche i più piccoli, loro spauracchio sono i gorghi del Panàro e la Brigata nera che arriva a razziare di notte. Poca istruzione, soprattutto per le femmine, anche a guerra finita. A Lelia pesa l’ignoranza, legge I Miserabili alla luce di un lumino a petrolio e studia alla scuola del partito. Le ragazze per andare a ballare si scambiano i vestiti, ma la pace fa fatica a iniziare. Si continua a sparare e a terra restano i contadini e gli operai. Nelle fabbriche servono le donne per i lavori di fino, Lelia con le sue sorelle si sposta in città per fare l’operaia. Mantiene i genitori, lavora e diventa capo reparto; tiene botta nel sindacato, torna a scuola, ma in fabbrica è ancora pagata meno dei suoi compagni maschi. Sono donne e uomini come lei gli artefici delle nostre libertà, della pace e del nostro benessere. Lelia ci guida nei gironi della grande Storia, su di essa non lascerà che una lieve impronta: la matrice della Storia minuta da cui proveniamo tutti.