Narbona è una borgata di Castelmagno, il più alto comune della Valle Grana. Edificata in un vallone laterale, spettacolare e severo, su di un crinale ripidissimo, riparata dalle valanghe che nell’inverno la isolano dal mondo, non è mai stata raggiunta da una strada né dall’energia elettrica. Insediamento tra i più audaci dell’intero arco alpino, capolavoro d’architettura tradizionale, arrivò a ospitare 154 abitanti ma, nel 1960, fu abbandonata definitivamente. Ora è in rovina pressoché totale, avviandosi a diventare un’immensa pietraia. Con la sua scomparsa svanisce un tassello importante della civiltà alpina, un esempio eccezionale di adattamento a condizioni di vita estreme che, anche se sfigurato da crolli e saccheggi, continua a sprigionare un fascino singolare. Da questa suggestione, rimasta intatta dal momento della prima visita più di trent’anni fa, e da un lungo lavoro di ricerca sulla sua storia secolare attraverso documenti e testimonianze, è germinato questo romanzo in cui luoghi, personaggi e vicende (in parte) sono reali, mentre il rimanente a quelli s’ispira per riportarli alla vita. Il lavoro è stato segnalato dalla XXXII edizione del Premio Calvino (2019) con la motivazione: “per la scrittura calibrata, soffusa di contenuta malinconia, con cui si sviluppa il tema dell’abbandono degli antichi borghi, in un susseguirsi di episodi inanellati a formare un eccellente quadro d’insieme”.
La speranza dell’autore è che la narrazione possa, sia pure in parte minima, compensare quella grande perdita.