Dopo Insetti pericolosi e Il Talpa, il terzo episodio dell’originale saga che ha per protagonisti l’ex commissario Leo Delfos e la val Sangone. Uno stile insieme affilato e nostalgico. Un noir classico in cui il fascino discreto di una sonnolenta provincia fa da schermo a peccati e segreti d’inaudita, inclassificabile violenza.
L’immutabile quiete della val Sangone è scossa da un fatto cruento: il cadavere di un curato viene ritrovato in canonica con un profondo taglio alla gola. La matassa s’ingarbuglia a mano a mano che al primo morto se ne aggiungono altri. Quale filo li lega? In apparenza non ce ne sono e poi, a complicare le cose, spunta anche un personaggio che nessuno è in grado d’identificare, ma che riesce a dare corpo alla paura che si è impossessata dei valligiani. Una paura sorda, serpeggiante, che semina sospetto e diffidenza spingendo la gente ai comportamenti più strani. Ma proprio in quella palude d’irrazionalità Leo avrà l’intuizione che porta alla verità…
«Don Franco», chiamò infilando la testa nello spiraglio che disegnava una piccola lama di penombra sulle piastrelle giallastre del pavimento. Nessuna risposta.
«Don Franco», ripeté a voce più alta, mentre un odore che non aveva mai sentito in quella cucina la colpì. Qualcosa di denso, dolciastro e vagamente nauseabondo che le era del tutto sconosciuto.
«Don Franco», ripeté per la terza volta allargando lo spiraglio dell’uscio, mentre la sinistra si spostava sul muro in cerca dell’interruttore.
«È in casa? Sono io, la…» e stava per aggiungere «Pina», ma le parole le si pietrificarono in gola. Aveva pigiato il pulsante e la lampadina sotto il paralume aveva illuminato la stanza.
Dietro al tavolo, don Barile giaceva supino e immobile, con le mani lungo i fianchi, circondato da un lago di sangue.
Atterrita da quella vista, in preda a una disperazione che le era esplosa nel petto come un pugno arrivato diretto al cuore, Pina gridò.